Attualità

La tecnica d'archivio nell'arte contemporanea

La memoria del gesto artistico contemporaneo e la pratica archivistica proprio come atto d'arte sono al centro del prossimo incontro a cura del mudaC

Da sinistra, Cristina Baldacci e Linda Fregni Nagler

Si parla dell'importanza delle tecniche d'archivio come spazi di memoria del contemporaneo artistico nel nuovo appuntamento in diretta streaming con cui prosegue il ciclo Del contemporaneo. Linguaggi, pratiche e fenomeni dell’arte del XXI secolo promosso dal Comune di Carrara e curato dalla direttrice del mudaC Laura Barreca in collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Carrara e con il supporto tecnico di Nausicaa Spa. In questa occasione sono protagoniste la storica dell'arte Cristina Baldacci e l'artista Linda Fregni Nagler

La data da segnare in agenda è quella di venerdì 12 marzo, quando per partecipare all’incontro basterà collegarsi a partire dalle 18 alla pagina Facebook del mudaC. Nel corso della conversazione, coordinata da Laura Barreca, Cristina Baldacci - che insegna storia della fotografia all'università Ca' Foscari di Venezia -  ripercorrerà attraverso il suo libro Archivi impossibili. Un’ossessione dell’arte contemporanea la lunga e articolata storia dell’interesse per la pratica archivistica ricomponendo il ricco mosaico dei ruoli, dei significati, delle forme (mappa/atlante, album/diario, museo/Wunderkammer, schedario/database) che l’archivio ha assunto nel corso del tempo e la sua rilevanza come opera d’arte, quindi come sistema classificatorio atipico e, per certi versi, impossibile. 

Linda Fregni Nagler è un’artista che lavora principalmente con il medium fotografico. E' nata a Stoccolma e vive a Milano, dove si è diplomata nel 2000 e dove insegna al master di fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e presso la Nuova Accademia di Belle Arti (NABA). Il suo lavoro è una ricerca alle origini dello sguardo moderno e si concentra sul medium fotografico e la sua storia, attraverso una pratica che intreccia le caratteristiche del lavoro dell’artista, quelle dello studioso e del collezionista. Il suo studio è, prima ancora che luogo di produzione, un luogo di ricezione dove, dopo un percorso di scelta e raccolta meticolose, le fotografie confluiscono per essere rielaborate e riattivate, per assumere così nuovi significati.