Attualità giovedì 13 aprile 2023 ore 18:25
Commercio, un arcipelago di piccole botteghe
Con più di 28.000 imprese il tessuto commerciale toscano si rimodula secondo nuovi modelli e dimensioni. Vale il 10% del fatturato regionale
FIRENZE — E' un arcipelago composto prevalentemente da piccole botteghe, per il 66% non alimentari, il tessuto commerciale toscano che si va strutturando secondo nuovi modelli e un progressivo aumento delle dimensioni. Articolato in oltre 28.000 imprese, vale il 10% del fatturato regionale. Questa l'istantanea sul commercio al dettaglio toscano scattata dall'Istituto regionale di programmazione economica (Irpet) in un rapporto presentato oggi a Firenze.
Dopo il contraccolpo inferto dal Covid, che ha portato a una perdita del 5% delle imprese commerciali, il settore si mostra vulnerabile: maggioranza delle imprese piccole o piccolissime, basso valore aggiunto sul fatturato, bassi stipendi. Duro il confronto con fenomeni di concentrazione territoriale fra presenza dei grandi spazi commerciali e progressiva contrazione della presenza commerciale nelle aree periferiche e alla maggiore diffusione di formati piccoli e medi nei principali centri urbani.
Nonostante la diffusione dei grandi formati, il commercio in Toscana è animato soprattutto da imprese piccole e piccolissime, il 66% delle quali operano nel settore non alimentare e, di queste, il 25% sono negozi di abbigliamento, l’8% cartolerie, il 6% calzature e ferramenta.
In Italia, infatti, la Toscana è prima per strutture di piccole dimensioni (meno di 50 metri quadri) e ultima per quelle molto grandi (oltre i 5000 metri quadri). Ultima anche per numero di minimercati e supermercati, per superficie di vendita totale, per numero e superficie di vendita per 1000 abitanti. Lo stesso dicasi per gli ipermercati. Situazione opposta invece per i grandi magazzini (non solo generi alimentari), dove è inferiore solo alla Lombardia.
"La Toscana resta una delle regioni con il più alto numero di negozi di vicinato e dove quindi la dimensione relazionale costituisce un punto di forza", ha osservato sul punto l'assessore regionale allo sviluppo economico Leonardo Marras.
Gli esercizi alimentari sono circa un quarto del totale: il 26% di questi vende prodotti legati al tabacco, il 17% sono macellerie e il 12% negozi di ortofrutta. I non specializzati sono poco meno del 10% del totale.
Proprio il piccolo commercio alimentare ha subito, nel periodo 2007-19, le maggiori perdite in termini di addetti e di unità locali, rispettivamente -18% e -14%. Segno opposto per la grande distribuzione organizzata (Gdo): +30% di unità locali, +10,3% addetti.
Il commercio al dettaglio incide sull’economia regionale per il 9% in termini di addetti e di imprese, e per il 10% in termini di fatturato. Il valore aggiunto sul totale del fatturato è del 19% e viene mediamente destinato per il 42% al pagamento di salari e stipendi. Il commercio al dettaglio alimentare ha il più basso valore aggiunto per addetto ed i salari più bassi per lavoratore dipendente.
Chi c'è in negozio
I lavoratori indipendenti sono il 36%, e due terzi degli occupati nel commercio al dettaglio è di genere femminile. Sono i giovani (il 34% ha tra i 15 e i 29 anni) e gli over 50 (34%) ad essere i maggiori impiegati nel settore e prevalgono gli italiani (87%). Un dipendente su 3 ha un titolo della scuola secondaria di I grado, il 47% è diplomato.
Lo stipendio medio annuo è circa 22mila euro, -14% rispetto a quello medio calcolato sul complesso dell’economia e -25% rispetto alla manifattura. Nel commercio alimentare il salario medio supera di poco i 17mila euro annui, nella Gdo e nel commercio non alimentare supera i 22mila euro.
Nel confronto con Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto la Toscana ha la quota più alta di addetti nel commercio (ingrosso e dettaglio), il 19,9%.
I territori più vitali
Le province col numero più alto di unità locali per abitante sono Grosseto e Livorno, seguono Siena, Massa Carrara, Lucca e Arezzo. In generale dalle 11 attività/1000 abitanti del 2007 si passa alle 9 del 2019. Le uniche province dove, nello stesso periodo, è aumentato il numero di addetti sono Firenze e Prato, mentre in tutte è cresciuta la dimensione media aziendale.
In termini di presenza di servizi commerciali in rapporto alla popolazione, le aree più turistiche, i sistemi agrituristici e quelli della costa hanno la maggior diffusione. Sempre nel periodo 2007-19 nelle aree interne le imprese diminuiscono del 25% (e -14% di addetti), nei sistemi agrituristici e in quelli balneari del 19%: qui la diminuzione più contenuta degli addetti indica non solo una minore diffusione di questo settore ma anche una maggiore presenza dei formati più grandi.
Nelle aree urbane, con la diffusione dei formati di dimensioni maggiori, la perdita di unità locali è accompagnata da una sostanziale tenuta dei livelli occupazionali.
L'impatto di Covid e bollette
Analizzando la dinamica riferita al periodo pandemico, attraverso i dati su iscrizioni e cancellazioni al Registro delle Imprese, nel periodo 2019-21 le imprese sono diminuite del 5%, gli addetti nel commercio al dettaglio del 2,5%.
La perdita maggiore nelle città, -5,7%. Dinamica opposta nelle aree interne, addetti +3,3% e nei sistemi balneari, +2,3%.
L’indagine Irpet stima infine l’impatto dell’aumento dei costi energetici sul settore, ipotizzando in media per ogni impresa un incremento di circa 16mila euro (54mila nel caso di quelle manifatturiere), per quelle del commercio al dettaglio la somma si abbassa a quasi 14mila euro, mettendo in questo modo a rischio il 5% delle imprese totali (circa 2000).
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