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martedì 15 ottobre 2024

VERSI-AMO — il Blog di Chi mette al centro la persona

Chi mette al centro la persona

Il blog è curato da un comitato tecnico-scientifico costituito da Carmen Talarico, scrittrice, poetessa e docente, Federica Giusti, psicologa e psicoterapeuta sistemico-relazionale, Ilaria Fiori, avvocata, Maria Cristina Cavallaro, psicologa e psicoterapeuta, PHD Neuroscienza Mediatrice ADR, Sara Tosi, naturopata, Renata Otfinowska, illustratrice e grafica, Lina Talarico, docente. Le professioniste condividono la cura della parola per un rinnovato sguardo aperto allo stupore. Mettere al centro la persona coltivando i semi della Pedagogia, della Psicologia, del Diritto, della Naturopatia e dell’Arte, versando parole di amore e gentilezza.

La circolarità dell'ambivalenza nella lettura della storia

di Chi mette al centro la persona - lunedì 04 aprile 2022 ore 07:30

«Mi ero già accorto che Tischbein mi osservava sovente con attenzione, e ora si scopre che vuol dipingere il mio ritratto. Il bozzetto è pronto, la tela già montata. Vi figurerò a grandezza naturale in veste di viaggiatore, avvolto in un mantello bianco, seduto all'aperto su un obelisco rovesciato, nell'atto di contemplare i ruderi della Campagna romana in lontananza. Ne verrà un bel quadro, solo che sarà troppo grande per le nostre case nordiche; io non potrò che tornare a rimpiattarmi là dentro, ma non ci sarà posto per il ritratto.» Con queste parole, in una fra le più eleganti narrazioni affidate al suo capolavoro “Viaggio in Italia”, Johann Wolgang Goethe prefigurava la posa che la sua immagine avrebbe assunto nella tela a lui dedicata dal pittore ed amico, nonché parzialmente omonimo, Johann Heinrich Wilhelm Tischbein. Il poeta tedesco, appena trentasettenne all’epoca di esecuzione del dipinto, adagiato sui resti di un rudere, guarda davanti a sé, sullo sfondo di una campagna che presenta, in una disordinata e frammentaria collocazione, resti e rovine di edifici classici. In questa posa compare la vena classicistica con la quale l’autore Tischbein “dipinge” la sua parola attribuendo all’arte dell'antichità classica un valore esemplare che si concretizza negli oggetti disseminati nel dipinto., ma prende anche forma la cosiddetta pittura arcadica, che si rivolge agli antichi greci e romani identificandoli come portatori di valori di equilibrio e di armonia che resistono anche oltre la stessa vita delle opere realizzate e ciò per il solo fatto di farvi riferimento.

La percezione consapevole del passato ci alfabetizza rispetto alla lettura del futuro sembra dirci la parola di Tischbein letta da Goethe con la sua presenza. Considerato come il mito di Arcadia con il suo potere di riportarci al “puro e semplice” ha animato correnti artistiche quali il Romanticismo e il Neoclasicissimo per ben due secoli dal diciassettesimo al diciannovesimo, siamo di fronte a un senso delal storia dell’uomo che sembra presentare una strutturale ambivalenza: si può scrutare la complessa percezione del futuro attraverso la semplicità del modello dell’arte classica con la sua compostezza e la sua proporzione. E alla domanda se siamo strutturalmente ambivalenti lo studio della mente ha formulato una prima risposta decorso dopo oltre un secolo dalla data del dipinto, e per opera di un medico, lo psichiatra svizzero E. Bleuler, la cui importanza si riconduce alle fondamentali ricerche nei macroscopici ambiti della ridefinizione clinica della schizofrenia e dell’autismo. Secondo Bleuer «già l'individuo normale ha talvolta l'impressione di avere come due anime, paventa un evento e desidera che accada [...]. Tali ambivalenze sono quanto mai frequenti e particolarmente drastiche nelle rappresentazioni che ci facciamo di persone che odiamo o temiamo e al tempo stesso amiamo». Se ne investe l’intelletto, l’ambivalenza porterà il soggetto ad esprimere un’idea contemporaneamente al suo contrario; se, invece, nei coinvolge la sfera dell’affettività potrà forse indurlo a provare contestualmente sentimenti di amore o di odio. Una realtà anche circolare e non solo oppositiva, se si considera che, come nel quadro che Goethe prefigurava, vediamo il futuro anche grazie a ciò che la storia ci ha già mostrato ossia se siamo in grado di cogliere il contesto che intesse la successione degli avvenimenti. Scopriamo come l’ambivalenza, se osservata in questo specifico aspetto, si presenta parte del processo stesso della conoscenza.

E proprio la medicina è al cuore della conversazione che stavolta Goethe dipinge nel suo Faust, laddove si dice allo studente

«Afferrare lo spirito della Medicina
è facilissimo. Studiate a fondo
il macro e il microcosmo, e poi lasciate
che vada avanti come a Dio piace.
Vano è darsi da fare sudando per la scienza,
ognuno impara solo quel che può.
Ma colui che afferra l'attimo,
quello sì che è un uomo in gamba.
Siete piuttosto ben proporzionato,
e non vi mancherà certo l'ardire;
abbiate solo fiducia in voi,
e anche gli altri si fideranno
».

La reazione dello studente, evidentemente assetato di conoscenza, è quella di chi comincia a orientarsi «più che in filosofia» tuttavia dovendo prestare attenzione all'ambivalenza che potenzialmente si annida nel processo che guida la conoscenza, visto che è Mefistofele, cioè il diavolo, a dirgli , quasi incoraggiandolo «Grigia è, mio caro amico, ogni teoria, verde l'albero d'oro della vita».

Maria Cristina Cavallaro

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