Me More
di Dario Dal Canto - domenica 08 settembre 2024 ore 08:00
Viaggio di ritorno dalla Cina con diversi scali, parecchi. Volo Parigi Firenze: l’ultimo, finalmente. Non so nemmeno da quanto sono partito. Mi sento un uomo bollito che vola verso casa.
Decollo, tutto regolare, ordinario, appena finita la fase di salita. Le hostess, spingendo il loro carrellino pesante, governano i passeggeri con un panino cingommoso e una bottiglietta di acqua naturale, calda. Tutto abbastanza ordinario, tendente vagamente al triste. Come per tutti i voli così brevi in cui il viaggio è praticamente un prolungamento dell’attesa.
Mi sto appisolando cullato dalla dolce e rombante ninna nanna dei motori turbofan, quando una voce terrorizzata mi sveglia: “Aiuta me, me more!!! Me affoga. Mi Melita!!! Me more!!!”
Sulla fila di sedili di fianco al mio una donna sulla “trentasettina” di anni dimena la sua cagnolina rasata e con la testa spigolosa scuotendola come una maracas. Operazione anche culturalmente appropriata viste le origini latinoamericane, forse colombiane, della signora spaventata e agitata. Una sorta di maracas a pelo corto che viene scossa con terrorizzato vigore.
Ma non ci distraiamo: una dramma è in corso!
Sto canetto si agita tossendo e tentando di infilarsi la zampa in bocca come se volesse togliersi qualcosa.
Mosso dalla compassione e dal terrore che Melita potesse crepare miseramente a circa 20000 piedi di quota mi chino sulla bestia tossente nel corridoio dove la padrona aveva portato Melita in cerca dell’aiuto delle hostess. Queste, imperterrite, hanno continuato il loro lavoro dispensando panini e sorrisi, entrambi di plastica.
Appena avvicino la mano questa ingrata subito mi morde un dito.
“Meledetta te e chi ti porta sull’aereo!”
Getto il cuore oltre l’ostacolo, erigendomi a paladino della salute canina: la mia missione è salvarti la vita, piccola bestia indemoniata, costi quel che costi, anche se dovessi sbranarmi il braccio fino al gomito. Le apro la bocca e appiccicato al palato vedo un pezzo enorme del suddetto panino cingommoso. Col dito ad uncino lo estraggo spiaccicandolo sulla moquette dell’A318 della compagnia aerea fiore all’occhiello dell’aviazione commerciale transalpina. La libero dai suoi impedimenti respiratori: la bestia è salva!
Istantaneamente mi sento come se fossi diventato una specie di eroe dei cieli, non come il Barone Rosso o Maverick, ma dannazione, un posticino onorevole penso di essermelo guadagnato anche io.
Ma la gloria è durata ben poco perché sono stato immediatamente redarguito per aver stretto troppo Melita… “Tu no buono con mi Melita!”, “Tu hai fatto male a lei!”
Questo è stato il ringraziamento. E intanto la bestia torna placida ad accoccolarsi nella sua cuccetta da viaggio, tirando su la zampetta per farsi un bavaccioso bidè.
E allora, come avrebbe detto Francesco Nuti che ci ha lasciato da poco, ma ci manca tanto: “Ma vaffanculo te e Melita!”
Dario Dal Canto