Un giorno come un altro.
di Nicolò Stella - giovedì 27 luglio 2023 ore 08:00
Di sera tardi, il Maresciallo Cometa, prima di rientrare nel suo alloggio, usava abbandonarsi sulla sua sedia ergonomica. Almeno così dicevano che fosse, anche se a lui causava forti dolori alla colonna vertebrale. L5/S1 scrivevano i medici nei referti, e, a voce, aggiungevano: “Deve fare più moto, anche delle passeggiate in bicicletta”. Tutte cose che non avrebbe fatto mai. Intanto la schiena, dolorante, scivolava giù, lasciando il supporto lombare, e assumendo una postura che accentuava la contrattura muscolare causando fastidi vari. Raggiunta la posizione che lo illudeva di non dovere patire il dolore, si metteva ad ascoltare quell’acufene che lo tormentava da vent’anni. Dal giorno dello scoppio di una SRCM mod. 35 al poligono militare di foce del Fiume Serchio. Una zona bellissima che di mattina era un’area militare, e la sera si trasformava in zona d’incontri amorosi, più o meno, clandestini.
Dal telefonino di ultima generazione appoggiato sulla scrivania, partì una vecchia canzone di Roberto Vecchioni che conosceva molto bene, e che l’aveva accompagnato per gli anni dell’adolescenza: “L’uomo che si giocava il cielo a dadi.” Seguendo le parole a memoria e infine cantando la strofa finale insieme al Professore:
“E quando verrà l’ora di partire, vecchio mio
Scommetto che ti giochi il cielo a dadi anche con Dio
E accetterà lo giuro, perché in cielo, dove sta
Se non ti assomiglia che ci fa?”
Una canzone che parla del rapporto fra padri e figli. Una canzone che lo riportava ai tempi in cui non riusciva a perdonare la colpa a un padre morto troppo presto.
Immerso in questi pensieri, fu destato dal piantone che gli annunciava una serata da trascorrere ancora una volta in ufficio.
“Marescià, c’è il collaboratore di giustizia”, disse l’Appuntato Delena.
“ Il collaboratore?" Gli avevo detto di telefonare tutte le volte che aveva bisogno di parlare con me, non di farsi vedere nei dintorni della Caserma” rispose Cometa.
“Marescià non è proprio il collaboratore, ma il padre del collaboratore”, precisò Delena.
In ufficio entrò un uomo sulla cinquantina portati bene. Capelli corvini, baffi ben definiti. Vistosi e grossi anelli agli anulari delle mani. Collana d’oro dal peso indefinito, ma buona per procurare una cervicalgia. Al Maresciallo ricordò l’attore americano nel film di Damiano Damiani “Il giorno della civetta”, tratto dal libro di Leonardo Sciascia. Quell’attore americano Lee Cobb, che rivolgendosi al Capitano Bellodi spiegava di avere certa pratica del mondo, e dell’umanità. Il personaggio che divideva l’umanità in cinque categorie. Uomini, mezz’uomini, ominicchi, piglianculi, e i quaquaraqua.
Mentre l’uomo si accomodava nella scomoda sedia dell’ufficio, il Maresciallo Cometa seppe trattenere dal rivelargli i suoi pensieri e la somiglianza di chi gli stava di fronte con il Don Mariano Arena. L’uomo dette l’impressione di conoscere il libro, o almeno il film, e precisò che quella definizione ormai era diventata obsoleta, e aggiunse: “Carissimo Maresciallo, non è più come una volta oggi ci sono i testa di legno. Senza di loro non si può più fare nulla. Apparentemente sembrano personaggi innocui ma bisogna stare attenti, il loro stato lo vive con animosità, invidia, e gelosia. Sono capaci di colpire a tradimento, non solo coloro che li manovrano, ma tutti quelli che ai loro occhi non appaiono manovrabili. Poi ci sono i pupara sono i classici burattinai. Quelli che muovono i fili da dietro le quinte. Come quei professionisti che stanno nei teatri dei pupi siciliani. Sono personaggi che conoscono bene la gente e la sa manovrare a suo piacimento, e convenienza. Si servono dei testa di legno ma anche degli utili idioti. Quest’ultimi pensano di esercitare un potere, in verità servono solo ai pupari. Una volta, semplificando, li chiamavano i lecchini. Normalmente si presentano come persone amabili, non hanno mai una opinione propria dipendono sempre da quella degli altri. Poi ci sono gli equidistanti. Dante li chiamava gli "ignavi", e li collocava nell’angolo più oscuro dell’inferno riservato a coloro che riescono a mantenere la loro neutralità in momenti di crisi morale. Il loro stare nel mezzo, né da una parte né dall’altra, contribuisce a far si che la lotta diventa più cruenta. Loro ritengono di essere neutrali, ma con la loro pseudo neutralità contribuiscono alle guerre fra le parti in lotta. Alla fine troviamo le scimmie, in altre parole quelli che non vedono, non sentono e non parlano. Questi Maresciallo sono i peggiori perché contribuiscono affinché i primi si arricchiscano e prolifichino in danno della povera gente.”
“Bene, ora finiamola con il revisionismo letterario”, disse il Maresciallo e aggiunse:
“Mi dica come mai è venuto a trovare il figlio qui a Pontedera. E’ località protetta per lui, e nessuno avrebbe dovuto conoscere questo luogo”.
“Mi scusi Maresciallo, non ho resistito dalla voglia di vedere il nipotino. Sono stato attento, non si preoccupi, e nessuno saprà mai nulla. Sono venuto con il treno per evitare di lasciare il nome nell’acquisto del biglietto. Sono sceso a Livorno e da lì con un Taxi mi sono fatto accompagnare a Fornacette Poi ho preso il pulman di linea. Sto tranquillo io e può stare tranquillo anche lei.”
“Va bene mi dica a cosa devo la sua visita?”
“Maresciallo la volevo avvertire, mio figlio non ha perso l’abitudine di commettere cazzate. Lo conosco molto bene sono sicuro che farà delle rapine. E’ specializzato nelle oreficerie. Non quelle dei centri commerciali, ma quei negozi defilati che si avvalgono di una clientela di nicchia. Ha un sesto senso per individuarle. Penso che i sopralluoghi li faccia fare alla moglie. Lo convochi nel suo ufficio, non gli dica assolutamente che sono venuto da lei. Gli dica che l'hanno chiamato i suoi colleghi da Catania e che l’hanno messo sul chi va là.” Mentre l’uomo parlava, il Maresciallo con la mente si ripensò a quella telefonata sospetta che il collaboratore gli aveva fatto la sera precedente. Lo avvisava di essere andato a Firenze con la famiglia, e soprattutto di quella notizia, che gli giunse subito dopo. Una rapina a un’oreficeria ubicata in una via decentrata della città, e del ferimento del gioielliere. Il Maresciallo Cometa aprì l’agenda alla ricerca degli appunti del giorno prima. Trovò sia l’orario della telefonata sia quella dell’avviso dell’operatore della centrale. E anche l’annotazione che non occorreva intervenire perché sul posto c’era già una volante della Polizia di Stato. Poi riprese il discorso con quel genitore preoccupato, rassicurandolo che avrebbe chiamato il figlio e fatto come gli aveva suggerito. “Bene Maresciallo mi sembra di aver parlato troppo. Io non sono come mio figlio. Lui è nato fuori razza. Lui ha fatto i suoi reati, ha fatto la sua galera, e adesso vuole vivere alle spalle dello Stato. Sono sicuro che il vizio non lo abbia perso. Mi aiuti lei. Io adesso devo stare attento agli altri figli. Il sistema catanese non perdona e soprattutto non dimentica. Mio figlio con le sue dichiarazioni ha mandato in galera tanta gente.” Il padre del collaboratore uscì dall’ufficio, e il Maresciallo Cometa rimase seduto a riflettere sul difficile mestiere di genitore, e sulla frase che gli ripeteva spesso un amico, “non sono stato un ottimo genitore”. Ma forse la ripeteva proprio perché sapeva che non si poteva essere degli ottimi genitori, ma solo genitori, secondo le proprie possibilità, e capacità. Poi si mise a lavorare sul nuovo caso. La rapina alla gioielleria del giorno prima.
Nicolò Stella