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LEGGERE — il Blog di Roberto Cerri

Roberto Cerri

ROBERTO CERRI - Spunti ed opinioni del Direttore della Biblioteca Gronchi di Pontedera su libri, lettura, biblioteche, educazione permanente e su come tutte queste cose costituiscano una faccia importante dello sviluppo delle comunità.

​C'erano una volta gli editori

di Roberto Cerri - lunedì 13 ottobre 2014 ore 08:17

C'è stato un tempo in cui gli editori orientavano i lettori. Producevano cultura. Di più: avevano una loro politica culturale. Anche chi diceva di non averla. 

Qualcuno era organico ai partiti o li fiancheggiava. 

Comunque interagiva con loro. In un gioco sottile di influenze, dove non era facile capire chi condizionata chi. A quel tempo la politica aveva bisogno della cultura. Così gli editori stampavano libri che la politica utilizzava nel dibattito pubblico. C'erano perfino editori così abili che erano in grado di forzare la stessa politica. 

Non a caso a quel tempo, oltre che la fedeltà al partito, esisteva la fedeltà all'editore. Un lettore poteva essere addirittura identificato in ragione dell'editore di cui comprava spesso i libri. Così, ad esempio, un lettore (ed un sostenitore) della casa editrice Einaudi era quasi certamente una persona di sinistra, non necessariamente comunista, ma con una buona probabilità di esserlo e di avere in tasca anche la tessera della CGIL. 

Invece leggere Mondadori o Rizzoli significava qualificarsi come un moderato ed un probabile democristiano. Chi comprava Feltrinelli, si collocava all'estrema sinistra ed era molto critico verso il sistema. Invece se leggevi Rusconi eri molto di destra, fino ad avvicinarsi ad Almirante eal MSI. Edizioni Paoline: un cattolico baciapile. I librai lo sapevano ed erano in grado di piazzarti sotto il naso l'editore che ti era più affine. Ovviamente c'erano anche case editrici meno etichettabili (Laterza, Bompiani, ecc.). Per contrappasso ce n'erano di controllate direttamente dei partiti (Rinascita, Editori Riuniti, Cinque Lune, Mondoperaio, ecc.). 

Questa situazione è durata, almeno in Italia, fino agli anni '80. Poi la prima repubblica si è sfasciata, gli editori si sono moltiplicati come funghi e tutto si è confuso. Nel frattempo sono emersi i partiti padronali (cominciò Pannella coi Radicali, seguì Bettino Craxi coi socialisti, poi toccò a Berlusconi e oggi a Matteo). 

Le ideologie si ammalarono. Ma soprattutto la Kultur, quella con la K maiuscola, divenne per la politica un strumento pericoloso, ingombrante, infido, troppo rigido per tener dietro alle giravolte dei “padroni del vapore”. Critici e intellettuali finirono in cassa integrazione. Il mercato, dopo la fiammata egualitaria e libertaria del '68, tornò a ruggire. Il mantra divennedare al consumatore quello che il consumatore voleva. In campo culturale soprattutto roba facile, digeribile, masticabile. La dilatazione dei canali e dei programmi TV fece il resto. La Kultur dilatò la sua componente ludica e l'intrattenimento si trasformò in un grande business, che dilagò nei canali televisivi e poi diluviò su internet. Il dibattito pubblico si spappolò. Intere biblioteche e autori finirono al macero. 

Ci divertiremo fino a morire da ridere, sentenziò a quel punto un sociologo e pedagogista americano: Neil Postman.

Questa vicenda ce la narra, con uno stile frammentario, e usando parole squisite, ma faticose e difficili, almeno per un lettore come me, Roberto Calasso, una delle teste pensanti dell'avventura editoriale dell'Adelphi, in un volumetto di poche ma dense pagine intitolato L'impronta dell'editore
(Adelphi, 2013, 12€, 164p). Una raccolta di saggi brevi. A volte brevissimi.
Per i più giovani ricordo che Adelphi fu una delle case editrici che segnò il passaggio dalla vecchia epoca alla nuova. Nata negli anni '60, la casa editrice esplose nel decennio successivo, sdoganando presso un pubblico di massa (inclusi gli ex pasdaran di Einaudi) autori come Nietzsche, Roth,
Kundera, Simenon (quello dei romanzi senza Maigret) e un insieme di autori europei, asiatici e americani, assemblati in un catalogo che mescolava antico e moderno, testi sapienziali e riflessioni psicologiche, con una faticosità di lettura e una caoticità che frastornò e tuttavia conquistò molti lettori. 

Qualche brigatista intravide nell'apparentemente sconclusionato catalogo Adelphi il progetto di attaccare e distruggere il sistema ideologico culturale che aveva caratterizzato il paese nel secondo dopoguerra. Calasso sostiene che era una stupidaggine. Ma intanto ricorda quel fatto.
E io penso che quei disperati avevano visto giusto (dal loro “folle” punto di vista). 

Adelphi perseguì infatti l'obiettivo di far fiorire mille curiosità. Propose testi che scindevano il legame tra cultura e politica. Coltivò l'esotico, il curioso, il bizzarro, il religioso, lo spirituale, lo scettico, lo stravagante, il paradossale, la delusione, l'intimismo. La sua politica culturale, consapevole o meno
che ne fosse Calasso, contribuì a frammentare e spappolare quel NOI che aveva caratterizzato le culture collettiviste (e antimercantili) del '900 e a ridare fiato e nutrimento all'IO e alle individualità, fornendo ai singoli tutti i materiali culturali possibili ed immaginabili. Il mondo è caos, disordine e soprattutto varietà ed individualità. Il mondo è una giungla di emozioni e di stati d'animo, dove ognuno deve cercare la sua strada. Nessuna narrazione ordinata e “collettiva” può restituire senso ad un mondo che senso non ha se non nella molteplicità delle voci, dei dei suoni e
delle singolarità. Questo ha dato e fornisce tuttora Adelphi ai suoi lettori, anticipando in cartaceo (ed in piccolo, ovviamente) quello che poi internet riverserà su tutti, ad un livello più rozzo, direbbe Calasso, in digitale. In questo senso Adelphi ha contribuito ad orientare i suoi lettori verso una visione del mondo infinitamente più ricca, complessa, sconfinatamente aperta a molteplici apporti e provenienze, in grado di capire se stessi e l'altro, ma non il contesto in cui tutti (noi e gli altri) ci muoviamo. Una visione non ideologica, sostiene Calasso. Fortemente ideologica, replico
io, come ho provato a motivare in queste poche righe.


Ma comunque stiano le cose, Adelphi rimane la prima vera casa editrice post­moderna di questo paese a bassa densità di lettori. Speriamo che la globalizzazione e internet ce la conservino, in un'epoca che ha ucciso o spersonalizzato moltissimi editori e tanti ancora promette di farne fuori
quell' “autotrasportatore digitale” noto col marchio di Amazon.

Roberto Cerri

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