DIZIONARIO MINIMO: La chimera
di Libero Venturi - domenica 25 febbraio 2018 ore 07:30
La Chimera era un essere mitologico, mostruoso e gigantesco con cento teste di drago. Il padre era Tifone, che come nome era già tutto un programma. La mamma, per non essere da meno, era Echidna, la vipera: metà donna bellissima e metà orribile serpente maculato. La coppia doveva avere qualche problema genetico: altri figli furono Cerbero, cane infernale a tre teste e Ortro, anche lui feroce cane, guardiano di mandrie, ma con due sole teste. Già meglio.
La Chimera è stata la personificazione della tempesta, aveva preso dal babbo, la sua voce era il tuono. Fece parecchi danni lungo le coste dell’attuale Turchia, elargendo distruzioni e pestilenze e contribuendo ad inasprire ancor di più il carattere, già bernesco, della popolazione locale. Finché Bellerofonte con l’aiuto di Pegaso, il cavallo alato che oggi sponsorizza la Regione Toscana, non la uccise. Immerse la punta di piombo del giavellotto nelle fauci fiammeggianti della belva. Il fuoco sciolse il piombo che soffocò la simpatica bestiola. I mostri non sono tutto questo granché, alla fine. E sembrava anche una bischerata, ma se non era per Bellerofonte...
Alla Teogonia di Esiodo si ispirò l’artista di Cerveteri che raffigurò la Chimera con tre teste: due laterali di leone e di drago e una centrale di capra. Nell’Iliade Omero la descrisse “Lion la testa, il petto capra, e drago la coda / e dalla bocca orrende vampe vomitava di foco...” secondo la traduzione di Vincenzo Monti. E così fu scolpita dagli Etruschi in un capolavoro bronzeo del V-IV secolo a. C. rinvenuto nel 1553 nelle campagne di Arezzo e restaurato da Benvenuto Cellini. L’opera per un po’ fu conservata in Palazzo Vecchio, Cosimo I dei Medici la volle a guardia del suo trono. Ma poi fu spostata nella Villa Medicea di Castello perché, dice, portava piuttosto sculo. Rassicurante non era. E allora meglio ai Castellani, anche per una questione di equità. Oggi l’originale si può ammirare al Museo Archeologico di Firenze. Due riproduzioni ornano le fontane in Piazza della Stazione ad Arezzo. Chimera viene dal greco “Khimaira” che significa capra, l’animale più selvatico tra i domestici e il più domestico tra i selvatici. La bestia ha ispirato il critico d’arte e politico a tempo perso Vittorio Sgarbi. E sarà perché “monstrum” in latino stava per “prodigio”, anche Chimera ha assunto il significato di cosa irraggiungibile, simbolo del cambiamento e delle illusioni, delle fantasie azzardate, nonché dei sogni irrealizzabili e pericolosi. Canta infatti il mitico Gianni Morandi : “ma se il mio cuore spera non sarà solo una chimera”.
Bene, ciò detto, se i genetisti non facessero tanto i saputelloni, battezzando Chimera i loro esperimenti scientifici atti ad unire cellule umane ed embrioni animali, sarebbe parecchio meglio. La notizia è stata data in questi giorni da “Leonardo”, il telegiornale della scienza. Si può anche comprendere il nobile tentativo di coniugare sapere scientifico e cultura umanistica, ma il riferimento al “mostro” è alquanto inquietante, specie se si tratta di fusioni di razze diverse: umana e animale. Perché non esistono diverse razze fra gli uomini, c’è una sola razza umana. Ha ragione la neo senatrice Liliana Segre, anche se ha altrettanto ragione Paolo Grossi, già presidente della Corte Costituzionale, a dire che i razzismi esistono e allora, a presidio di ciò, è meglio lasciarla la parola “razza” nella Costituzione e non toglierla come la senatrice propone. Comunque esiste la razza animale e noi umani, pur facendone inizialmente parte, ci siamo distinti da essa. O perlomeno ci siamo impegnati a farlo, con esiti alterni, ma in genere migliori. Ora rimescolare di nuovo le cose evoca ancestrali paure e legittimi problemi etici.
Tuttavia ciò è fatto a scopo medico curativo: inserendo un numero determinato e limitato di cellule staminali umane in un embrione animale e programmando il DNA, si creerebbero le basi per la riproduzione in laboratorio di organi umani, impiegabili per i trapianti, evitando il rischio di rigetto. Oltretutto senza più bisogno di donatori che per donare devono essere generalmente morti. Per non parlare del mondo ucronico e distopico descritto da Kazuo Ishiguro. Il Nobel della letteratura, nel romanzo “Non lasciarmi”, immagina che si clonino in laboratorio esseri umani e, fin da piccoli, si educhino e si allevino per sacrificarli come donatori di organi, in sostituzione di quelli malati. Esseri viventi sussidiari. Terribile.
Ho appreso che sono state create con successo una chimera uomo/maiale e un’altra uomo/pecora. Ora, anche a riferirsi a recenti fatti di cronaca avvenuti nel mondo della produzione hollywoodiana, ma non solo, l’uomo, pur senza generalizzare, un po’ maiale si conferma. Quanto alla donna non mi permetto. Quindi, attenzione a non esagerare. E per l’uomo/pecora, che si può dire? Un po’ pecoroni siamo sempre stati, anche in quanto animali gregari. E l’uomo “pe’oro” è sempre esistito, nella fattispecie di marito. Senza nulla insinuare della moglie, che come dice Furio/Verdone: “Magda, tu mi adori? Sì. E allora lo vedi che la cosa è reciproca!”. Anzi, quanto a corna, la cosa, più che reciproca, mi pare sbilanciata a favore della consorte, proprio in virtù dei virili riferimenti suini di cui sopra. Dunque “est modus in rebus”. E in effetti è un bel rebus. Però se la scienza medica sconfiggesse il male o vi ponesse riparo, senza né produrre mostri, né sconfinare nell’eugenetica e nemmeno sacrificare gli animali, in fondo sarebbe anche un bene. Si campa di più. Magari speriamo un po’ meglio.
Pontedera, 25 Febbraio 2018
Libero Venturi