Il virus tanghero
di Maria Caruso - lunedì 17 ottobre 2016 ore 10:39
Vorrei farvi partecipi di un episodio tanghero, narrandovi un frammento di vita vissuta quando ero appena stata contagiata dal virus del Tango. Tale entità biologica elementare era diventata un parassita obbligato giacché si è replicato in me, appena approdata a questo nuovo mondo. Inevitabilmente contrassi l’infezione.
Inizialmente, come quasi tutti i tangheri pur covando il virus, non avevo manifestazioni chiare e pertanto i segni e i sintomi non erano particolarmente evidenti, per cui andavo a ballare pochissimo e quando capitava, mi guardavo bene dal fare mirade esplicite ed eloquenti. Man mano che l’infezione diventava conclamata il mio comportamento cambiava radicalmente al punto di voler andare a ballare il più spesso possibile. Come donna non ho mai avuto l’abitudine di andare in milonga da sola, anche se non ci sarebbe stato niente di male, per cui cercavo tra la cerchia di amici/che eventuali accompagnatori dando la precedenza ovviamente alle donne, per questioni di complicità e di confidenza.
Ero in piena crisi di astinenza poiché il virus si era trasformato da semplice infezione virale a dipendenza esasperante e pertanto andare a ballare più volte la settimana era diventato un bisogno primordiale collocato tra quelli alla base della piramide di Maslow. Beh quella settimana non ero ancora andata da nessuna parte ed eravamo già a metà settimana inoltrata. Comincio a fare il giro delle telefonate iniziando dalle amiche più intime a quelle che invece erano solo in rubrica ma che frequentavo meno, con esito negativo. La pressione saliva dentro di me insieme alla smania classica di chi deve per forza avere la sua dose, al punto di chiamare uno dei tangheri della scuola di nome Teo che non avevo mai chiamato. Esordisco con nonchalance: “Teo, come stai?”. Ancora più innocentemente come fosse una domanda qualunque: “Che fai stasera?”. E per non perdere il coraggio continuo di seguito. “Vai a ballare da qualche parte?”. Lui molto diretto mi risponde: “Non hai trovato nessuno con cui andare?”. Ed io: “Ma no…”. Lasciando la frase così poiché tanto era inutile continuare sulla falsa riga della bugia pietosa.
Beh ad ogni modo ottengo un consenso e andiamo a ballare. Mi preparo di sana pianta, mi vesto in modo piuttosto eccentrico (inizialmente si pensa che l’abito faccia il tanghero) e mi trucco in maniera piuttosto vistosa (di sera si vede meglio visto le luci soffuse della milonga scelta per quella sera). Arriva Teo puntuale, salgo in macchina, evitiamo di spiegare nuovamente perché siamo in macchina imsieme e andiamo a ballare. Serata regolare trascorsa con tanta emozione (come succede le prime volte che stai con l’innamorato) e la giusta dose di endorfina prodotta, da procurarmi il completo benessere a fine milonga.
Di ritorno dalla sala, pochi chilometri dopo, troviamo un posto di blocco (la strada purtroppo è frequentata dalle signorine della notte che ovviamente si erano eclissate in quel momento). Il poliziotto estrae la paletta a debita distanza quando Teo mi dice poco prima di fermarsi: “Quando vengo con Carlo, non mi fermano mai…”. “Ti devono aver presa per una battona!”. Era il suo modo di vendicarsi, a mio avviso, per averlo chiamato in mancanza di meglio. Attimo di panico e agitazione. In un lampo mi sono vista in Questura a convincere il Brigadiere che ero semplicemente una ballerina di tango.
Tutto perché nella mia carta d’identità risulta la mia nazionalità straniera e visto il look appariscente non avrei avuto modo di negare l’apparenza sbagliata. Il poliziotto serio in volto, chiede: “Patente e libretto!”. Poi dandomi un’occhiata mi dice: “Signorina mi favorisca anche lei, un documento d’Identità”. Con mani tremanti cerco nella pochette (anche quella a quel punto sembrava un indizio rilevatore d’identità) quanto richiesto dall’agente mentre mi affretto a dire: “Guardi che io lavoro al 118, chiami pure in Centrale per avere le mie referenze…”.
Il poliziotto mi guarda piuttosto perplesso interrogandomi con lo sguardo (non aveva ancora dato un’occhiata al documento) quando mi sente continuare: “Gli dico questo perché il mio amico ha detto che sicuramente mi avete preso per una di “quelle”…”. Il bell’uomo in divisa sorride e mi dice: “Non si preoccupi, “quelle” si riconoscono subito ma se fossi in lei, me la legherei al dito, per lo scherzetto fatto dal suo amico!”. Rispondo a quel punto sorridendo anch’io e più rilassata: “Me la sono già legata…!”. Non ho più chiamato Teo per andare in milonga.
Maria Caruso