Alla rotatoria
di Nicola Belcari - sabato 19 dicembre 2020 ore 07:30
Nella notte un’auto ha sbandato e si è incastrata nell’istallazione della rotatoria. Il conducente illeso, abbandonato il veicolo, è sgattaiolato via, andando a smaltire i fumi dell’alcool a casa sua, che senz’altro avrà trovato nonostante tutto. Avrà giudicato non fare inutili clamori chiamando gente e che l’indomani avrebbe provveduto meglio al da farsi.Dopo il botto nel deserto della periferia regna il silenzio.
Un silenzio appena venato dalla scia di un rumore lontano di una macchina. È una zona non frequentata ed è l’ora profonda in cui i giusti dormono per un meritato riposo. Sul dosso artificiale del rondò, con un riflesso di luce di qualche vetro rotto, le lamiere piegate, la macchina si distingue appena dalla scultura e insieme dànno vita a una forma nuova. L’automobilista da destinatario dell’opera è divenuto, senza saperlo, artista egli stesso. Una concezione moderna: il beneficiario non si limita a osservare ma interviene, modifica, completa, interpreta.Se l’opera faceva rimpiangere il vuoto e un albero avrebbe decorato a dovere e meglio quel luogo, con gentilezza, naturalezza, e bellezza, ora davvero s’è creata, anche se per un caso, un’opera interessante e di valore.
D’altronde molta arte moderna non è del tutto decisa a priori.Si tratterà ora di convincere il proprietario a cedere il rottame e l’amministrazione ad acquisirlo per lasciarlo lì come monito agli eccessi del bere e opera di forte “impatto” (è proprio il termine del caso) visivo, sul senso della caducità, della fragilità anche del mezzo più potente. Un simbolo della vanità e insieme di un prodigio tecnico come totem intorno a cui danzeranno in circolo le auto con il loro tributo.
Quella rotatoria con la sua scultura non faceva parte di quelle poche belle e originali, ma apparteneva alle tante pretenziose e fallite, contraddistinte da un’indefinibile forma, elementare e goffa, e l’auto le ha dato vita. Così da sfuggire al triste destino delle altre consorelle: quando il marmo perde lucidità, alcune parti si sgretolano, il metallo scurisce, arrugginisce, l’opera costantemente incensata dal gas di scarico appassisce miseramente. Il tempo fa giustizia e compie la sua operazione di svelamento. Tutto il contrario di quel che accade alle ville antiche, a quei muretti a secco che gli anni e le intemperie migliorano.
La pioggia, il vento, uno strato sottile di muschio lasciano una patina che amalgama le differenze, unisce i colori nello stesso tono: è un’armonia raggiunta.Ora potrà invece, se un’amministrazione ravveduta dell’errore lo comprenderà, rimanere a esprimere la fine e il deteriorarsi di un oggetto. La manutenzione non sarà necessaria e anzi da evitare e la rovina del tempo accrescerà con coerenza l’idea dell’opera.
Nicola Belcari