Il disprezzo del mondo
di Nicola Belcari - martedì 28 maggio 2024 ore 08:30
Chi è approdato all’ultima spiaggia è arrivato anche al disprezzo del mondo e, come la volpe con l’uva troppo in alto, può vederne tutti i difetti (anche quelli veri). I motivi non mancano. Dell’uva che non si arriva a cogliere ci si consola coi difetti, ma si può al contrario immaginarla migliore di quello che è, idealizzata dal desiderio di ciò che è inarrivabile. Il possesso prosaicizza e annoia, quel che è conquistato perde il suo fascino, sappiamo per esperienza che non c’è desiderio realizzato che possa appagare per sempre.
La nostra società post-contadina, post-industriale, post-moderna insegna la falsità (più di un “prima” d’oggi, comunque non granché) senza bisogno della menzogna. Non c’è bisogno di essere bugiardi per essere lievemente o schifosamente falsi.
Non sappiamo poi se alcuni di quei comportamenti considerati virtù lo siano davvero. La pazienza con cui teniamo a freno l’ira non è obbligata dalla conservazione della salute? Non serve poi a evitare l’errore di scoprirsi con l’avversario? La sobrietà nel cibarsi non è consigliata da glicemia, pressione arteriosa, livello del colesterolo? L’accidia non nuoce al sistema cardiocircolatorio? La superbia non ci espone a critiche e a isolamento? L’invidia non provoca fastidiose gastriti? La lussuria non rischia di farci sorprendere dalla moglie o dal marito con conseguenze imprevedibili? L’avarizia non rende antipatici senza appello? Le virtù non sono dunque altro che la repressione dei vizi?
Un po’ mediocre contentarsi: perché potrebbe andare peggio o nel confronto col terzo mondo (poco nobile modo di riconoscere la propria fortuita fortuna?) o nell’illusione che le cose si aggiustino.
Ho lavorato, ho sofferto, sono invecchiato: non resta che morire.
Penso alla miseria della condizione umana, a una sua ineliminabile tristezza. Qualche raro lampo, uno squarcio sull’io inconoscibile, l’impossibilità di rendere il magma dell’essere, neanche da parte dell’arte o della letteratura. Con l’impossibilità di vedere il proprio volto, la parte più significativa di sé, se non riflesso o in una riproduzione e insieme l’impossibilità per gli altri di “vederci”. Con una sola certezza.
L’uomo è un animale triste.
Nicola Belcari