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mercoledì 16 ottobre 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

Al-Hallaj e il prof. Alessandro Orsini

di Adolfo Santoro - sabato 30 aprile 2022 ore 08:00

Hakuin Ekaku
Hakuin Ekaku

Sono tempi duri per chi dichiara candidamente la propria pace interiore senza l’accortezza di saper ridere di se stesso. Ma è stato sempre così e il professor Alessandro Orsini, vittima dei giornalisti con l’elmetto e degli americani di turno, è la regola, non l’eccezione!

Cinquecento anni prima di Cristo il sacerdote ebreo Geremia profetizzò, in un periodo di pace relativa, la possibile invasione dei popoli del nord, cioè dei Babilonesi, e la fece dipendere dal tradimento del patto d’alleanza tra Dio e gli ebrei. Geremia era visto come un uccello di malaugurio, un disfattista che minava il morale della nazione e i potenti lo odiarono e lo disprezzarono cercando ripetutamente di cospirare per ucciderlo: di fronte allo strapotere dei Babilonesi Geremia consigliava di arrendersi e di pagare le tasse, ma la stragrande maggioranza degli ebrei preferiva illudersi seguendo chi predicava un futuro di pace e di prosperità. Fu così che i Babilonesi invasero la Palestina ed arrivarono ad assediare Gerusalemme, ma gli Ebrei continuarono a vedere in Geremia un menagramo e lo buttarono in un pozzo fangoso. I Babilonesi vinsero la guerra, distrussero il Tempio degli ebrei e deportarono i potenti, ma Geremia fu risparmiato. Fu poi catturato dai suoi avversari ebrei, fu deportato, a sua volta, in Egitto, dove, secondo quanto tramandano gli scritti paleocristiani, fu lapidato perché non aveva abbandonato il suo vizio di rimproverare gli altri.

Sappiamo che non andò molto meglio a Gesù, che candidamente dichiarò la sua unione con Dio e di essere la Verità: fu crocefisso.

Anche Al-Hallaj, un mistico sufi sunnita dell’Iran, vissuto ottocento anni dopo Cristo, fu crocefisso ed è diventato un punto di riferimento per la costruzione dello spirito inter-religioso.

Affermava, ad esempio, in modo lirico:

“Ho molto pensato alle religioni, per capirle, e ho scoperto che sono i molti rami di un’unica Fonte.

Non pretendere dunque dall’uomo che ne professi una, così s’allontanerebbe dalla Fonte sicura.

È invece la Fonte, eccelsa e pregna di significati, che deve venire cercando, e l’uomo capirà.”.

Al-Hallaj superò la propria religione storica, l’islam, attraverso il contatto diretto con Dio: egli viveva nel rapporto d'amore tra il sé e Dio e gli si rivolgeva con parole dolci e familiari come “’'Amato”, “Tu”, “Amico”. La sua lingua si rivolgeva a Dio con questi versi:

“Eccomi a Te, o mio segreto confidente, o mio scopo, o mio senso. Essenza essenziale del mio esistere, o mio linguaggio. Tutto del mio tutto, o me stesso. A Te, da cui il mio spirito è rapito, sospiro”.

L’impregnazione dello spirito è descritta così:

“Ti fa posto il mio cuore tutto intero; lì non c'è spazio per cosa creata, tra la pelle e le ossa Ti trattengo. Che ne sarà di me semmai ti perdo?”.

L’impregnazione diventa una circolarità tra mente, corpo e mente:

“Egli mi ha scelto, avvicinato ed esaltato; mi ha affidato e fatto capire l'intero tutto. Nulla è rimasto nel cuore e nelle viscere, in cui io non riconosca Lui ed Egli me.”.

Finché non è possibile riconoscere che cosa sia il contenitore e che cosa sia il contenuto:

“Il tuo Spirito si è impastato con il mio, come l’ambra con il muschio odoroso. Se qualcosa Ti tocca, mi tocca: non c'è più differenza perché Tu sei me.”.

Ne consegue il distacco dal mondo condiviso, ne consegue il riconoscimento della vacuità dell’istituzione religiosa come rito ossessivo:

“Tu che biasimi il mio amore per Lui, come sei duro! Se sapessi chi intendo, così non faresti. I pellegrini si recano a Mecca e io da chi abita in me; quelli offrono vittime, io offro il mio sangue e la vita. C’è chi gira intorno al Suo tempio senza farlo con il corpo, perché gira intorno a Dio stesso, che dal rito lo scioglie.”.

La presenza di Dio in Al-Hallaj diventa un fuoco interiore che distrugge il suo “Io”:

“O gente, salvatemi da Dio, perché mi ha rapito da me stesso, e non mi rende più a me stesso. Quanto a me, ecco che non c’è più nessun velo tra Lui e me, neppure un batter d’occhio, il tempo che io trovi il mio riposo, in modo che la mia umanità perisca nella sua divinità, mentre il mio corpo si consuma nelle fiamme della Sua onnipotenza: cosicché non ne resti più alcuna traccia, alcun segno, alcuna descrizione”.

L’annullamento dell’”Io” in Dio è espressa così:

“Mentre il santo indica Dio dall’interno, la creazione indica Dio all’esterno.”.

E la rappresentazione di Dio in se stesso diventa olografica:

“La mia passione per Te ha invaso il mio cuore e nel suo fondo non v’è per me altri che Te. Se, nell’amore, mi tagliassi a pezzetti, il fondo del mio cuore ancora desidererebbe solo Te.”.

Ed arriva all’annullamento estremo:

“Io sono Colui che io amo, e Colui che io amo è me: siamo due spiriti nello stesso corpo. Se vedi me, vedi Lui, E se vedi Lui, vedi tutti e due.”.

Accadde così che un altro mistico chiese ad Al-Hallaj se avesse mai visto l'Eterno e Al-Hallaj rispose “Se l'ho visto? Ma se non me ne sono mai separato!”. “Che cosa intendi?” continuò l’altro mistico. “Che la Verità sono io!”, spiegò Al-Hallaj.

Diede forma così al detto: “Beato chi nel cammino della vita non si è separato dall’origine.”.

Espresse coerenza con la misteriosa saggezza dell’Uomo, che si può, ad esempio, leggere sulla porta di un antico luogo sacro Tutto questo è coerente con un antico testo egizio, intagliato sulla porta di un sacro dell’antico Egitto:

“Finalmente ho raggiunto il mio traguardo e risolto il segreto della mia anima: Io sono quello a cui rivolgevo le preghiere, quello a cui chiedevo aiuto. Sono quello che ho cercato. Sono la stessa vetta della mia montagna. Guardo la creazione come una pagina del mio stesso libro. Sono infatti l’unico che produce i molti, della stessa sostanza che prendo da me. Poiché tutto è me, non vi sono due, la creazione è me stesso, dappertutto. Quello che concedo a me stesso, lo prendo da me stesso e lo do a me stesso, l’unico, poiché sono il Padre ed il Figlio. Quanto a quello che voglio, non vedo altro che i miei desideri, che sgorgano da me. Sono infatti il conoscitore, il conosciuto, il soggetto, il governante ed il trono. Tre in uno è quello che sono e l’inferno è solo un argine che ho messo al mio stesso fiume, allorché sognavo durante un incubo. Sognai che non ero il solo unico e così io stesso iniziai il dubbio, che fece il suo corso, finché non mi svegliai. Trovai così che io avevo scherzato con me stesso. Ora che sono sveglio, riprendo di sicuro il mio trono e governo il mio regno che è me stesso, il signore per l’eternità.”.

Il senso delle parole di Al-Hallaj - Dio è uno e si manifesta anche attraverso il sé, il corpo – non fu compreso e successe così che le autorità interpretarono letteralmente le poesie di Al-Hallaj e lo condannarono ad essere crocifisso. Al-Hallaj rispose ai suoi carnefici: “O musulmani, Dio ha dato il mio sangue innocente per voi! Uccidetemi, dunque, uccidetemi, voi ne sarete ricompensati e io ne otterrò il riposo, perché voi avrete combattuto per la fede, e io invece il martirio. Uccidetemi, miei fedeli compagni, è dentro la mia uccisione che c'è la Vita. La mia Morte, è sopravvivere, e la mia Vita è morire.”.

La sua morte è descritta dal suo testimone, ʿAṭṭār, come un atto eroico. Quando veniva portato in giudizio, un sufi gli chiese: “Cos'è l'amore?” ed egli rispose: “Lo vedrai oggi, domani e dopodomani.”. Fu quel giorno appeso a una croce, dopo che sulla testa gli fu beffardamente messa una corona, fu bastonato, gli furono amputati mani e piedi e fu lasciato lì tutta la notte; il giorno seguente fu decapitato e il suo cadavere fu cosparso d’olio e bruciato; le sue ceneri furono disperse al vento dall'alto di un minareto. “Questo è l'amore” disse ʿAṭṭār.

Fu tagliato dunque a pezzetti, come aveva profetizzato, ed in ogni suoi pezzetto c’era Dio. Fabrizio De André esprime la stessa immagine con:

"Se ti tagliassero a pezzetti, il vento li raccoglierebbe, il regno dei ragni cucirebbe la pelle; e la luna tesserebbe i capelli e il viso, e il polline di Dio di Dio il sorriso.”.

Consiglierei, dunque, al prof. Alessandro Orsini non di seguire la traccia di questi illustri predecessori martiri, ma piuttosto di prendere esempio dalla leggerezza di Hakuin, com’è tramandato in questa storiella zen!

“Un soldato che si chiamava Nobushige andò da Hakuin e gli domandò: «C'è davvero un paradiso e un inferno?».

«Chi sei?» volle sapere Hakuin.

«Sono un samurai» rispose il guerriero.

«Tu un soldato!» rispose Hakuin. «Quale governante ti vorrebbe come sua guardia? Hai una faccia da accattone!».

Nobushige montò così in collera che fece per snudare la spada, ma Hakuin continuò: «Sicché hai una spada! Come niente la tua arma è troppo smussata per tagliarmi la testa».

Mentre Nobushige snudava la spada, Hakuin osservò: «Qui si aprono le porte dell'inferno!».

A queste parole il samurai, comprendendo l'insegnamento del maestro, rimise la spada nel fodero e fece un inchino.

«Ora si aprono le porte del paradiso» disse Hakuin.”.

Adolfo Santoro

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