Biodiversità e COP15
di Adolfo Santoro - sabato 10 dicembre 2022 ore 10:00
Quando la maggior parte delle persone pensa ai pericoli che affliggono il mondo naturale, pensa alla minaccia per le altre creature. Il calo del numero di animali carismatici come panda, tigri, elefanti, balene e varie specie di uccelli ha attirato l'attenzione mondiale sul problema delle specie a rischio. Secondo l’ONU, si sta verificando la più grande perdita di vite dai tempi dei dinosauri e 1 milione di specie vegetali e animali sono oggi minacciate di estinzione. Le specie stanno scomparendo a un ritmo 50-100 volte superiore a quello naturale e si prevede che questa percentuale aumenterà drasticamente. Sulla base delle tendenze attuali, circa 34.000 piante e 5.200 specie animali, tra cui 1 su 8 specie di uccelli del mondo, rischiano l'estinzione. Più della metà del PIL mondiale – pari a 41.700 miliardi di dollari – dipende da ecosistemi sani. La frammentazione e i cambiamenti di destinazione d’uso del suolo, causati soprattutto dall’agricoltura e dall’espansione urbana, determinano l’80% della perdita di biodiversità in molte aree.
Il termine biodiversità (traduzione dall’inglese biodiversity, a sua volta abbreviazione di biological diversity) è stato coniato nel 1988 dall’entomologo americano Edward O. Wilson. La biodiversità può essere definita come la ricchezza di vita sulla terra: i milioni di piante, animali e microrganismi, i geni che essi contengono, i complessi ecosistemi che essi costituiscono nella biosfera. La biodiversità che vediamo oggi è il frutto di miliardi di anni di evoluzione, plasmata da processi naturali e, sempre più, dall'influenza dell’uomo. All’interno degli ecosistemi convivono ed interagiscono fra loro sia gli esseri viventi sia le componenti fisiche ed inorganiche, influenzandosi reciprocamente. Finora sono state identificate circa 1,75 milioni di specie, per lo più piccole creature come gli insetti. Gli scienziati stimano che in realtà ci siano circa 13 milioni di specie, anche se le stime vanno da 3 a 100 milioni. La biodiversità include anche la diversità culturale umana, che peraltro subisce gli effetti negativi degli stessi fattori che agiscono sulla biodiversità.
Per migliaia di anni abbiamo sviluppato una vasta gamma di piante e animali domestici importanti per il cibo. Ma questo tesoro si sta riducendo poiché la moderna agricoltura commerciale si concentra su relativamente poche varietà di colture. Inoltre, circa il 30% delle razze delle principali specie animali da allevamento sono attualmente ad alto rischio di estinzione. Mentre la perdita di singole specie attira la nostra attenzione, è la frammentazione, il degrado e la totale perdita di foreste, zone umide, barriere coralline e altri ecosistemi che rappresentano la più grave minaccia per la diversità biologica. Il riscaldamento globale sta già modificando gli habitat e la distribuzione delle specie. Gli scienziati avvertono che anche un aumento di 1° della temperatura media globale, se arriva rapidamente, spingerà molte specie oltre il baratro. Anche i nostri sistemi di produzione alimentare potrebbero subire gravi interruzioni. La perdita di biodiversità spesso riduce la produttività degli ecosistemi e indebolisce la loro capacità di affrontare disastri naturali come inondazioni, siccità e uragani e stress causati dall'uomo, come l’inquinamento e il cambiamento climatico. Stiamo già spendendo ingenti somme in risposta ai danni provocati da alluvioni e tempeste aggravati dalla deforestazione; si prevede che tale danno aumenterà a causa del riscaldamento globale.
Mentre la perdita di specie si è sempre verificata come un fenomeno naturale, il ritmo dell'estinzione è accelerato drasticamente a causa dell'attività umana. Gli ecosistemi vengono frammentati o eliminati e innumerevoli specie sono in declino o già estinte. Stiamo creando la più grande crisi di estinzione dal disastro naturale che spazzò via i dinosauri 65 milioni di anni fa. Queste estinzioni sono irreversibili e, data la nostra dipendenza da colture alimentari, medicinali e altre risorse biologiche, rappresentano una minaccia per il nostro stesso benessere.
Al Vertice della Terra del 1992 a Rio de Janeiro, i leader mondiali hanno concordato una strategia globale per lo "sviluppo sostenibile", soddisfacendo i nostri bisogni assicurandoci al tempo stesso di lasciare un mondo sano e vivibile per le generazioni future. Uno degli accordi chiave adottati a Rio è stata la Convenzione sulla diversità biologica. Questo patto tra la stragrande maggioranza dei governi del mondo stabilisce impegni per mantenere le basi ecologiche del mondo mentre ci occupiamo dello sviluppo economico. La Convenzione stabilisce tre obiettivi principali: la conservazione della diversità biologica, l'uso sostenibile dei suoi componenti e la giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dall'uso delle risorse genetiche.
L’autorità ultima della Convenzione è la Conferenza delle Parti (COP), composta da tutti i governi (e le organizzazioni di integrazione economica regionale) che hanno ratificato il trattato.
Dopo il clima, l’attenzione dei leader mondiali si concentra sulla biodiversità. Dopo due anni di ritardi a causa della pandemia, dal 7 al 19 dicembre a Montreal, in Canada, i governi di tutto il mondo si riuniscono in occasione della COP15 per concordare una nuova serie di obiettivi che guideranno l’azione globale fino al 2030 per arrestare e invertire la perdita di biodiversità. Sebbene sembri simile alla COP27, la recente Conferenza delle Nazioni Unite sul clima tenutasi a Sharm El-Sheikh, i due incontri si concentrano su questioni diverse, sebbene correlate. La COP27 ha affrontato le azioni previste dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi a questi cambiamenti. La COP15, invece, si concentra sulla tutela del mondo vivente e si affrontano i cinque principali fattori diretti della perdita di natura: il cambiamento dell’uso del mare e della terra, l’eccessivo sfruttamento degli organismi, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie invasive non autoctone e le loro cause sottostanti, come il consumo e la produzione non sostenibili.
Nella COP15 i Paesi convenuti cercano di spingersi più in là tramite l’adozione di un nuovo quadro globale sulla biodiversità. Sebbene la bozza dell’accordo comprenda più di 20 obiettivi specifici, i principali target che i 193 Paesi partecipanti si impegnano a raggiungere riguardano le seguenti azioni:
- adozione di un quadro di riferimento equo e completo, accompagnato dalle risorse necessarie per la sua attuazione;- definizione di obiettivi chiari per affrontare lo sfruttamento eccessivo, l’inquinamento, la frammentazione e le pratiche agricole non sostenibili;- un piano che salvaguardi i diritti delle popolazioni indigene e riconosca il loro contributo come custodi della natura;- erogazione di finanziamenti per la biodiversità e l’allineamento dei flussi finanziari con la natura, per indirizzare le finanze verso investimenti sostenibili e lontani da quelli dannosi per l’ambiente;- raggiungere il ripristino naturale entro la metà del secolo; - impegno a conservare almeno il 30% della terra e dell’acqua del pianeta entro il 2030; è l’obbiettivo “30 by 30”;- ridurre l’uso dei pesticidi, - affrontare il problema delle specie invasive, - riformare o eliminare i sussidi dannosi per l’ambiente e aumentare i finanziamenti per la natura da fonti pubbliche e private.
Ma gli ostacoli sono i soliti! Chi deve pagare? Ovviamente non le nazioni più povere e le comunità indigene che ospitano la maggior parte della biodiversità rimanente nel mondo (solo qualche paese, come la Gdrmania, destina fondi destinati alla biodiversità)! Come tradurre l’ambizione globale in obiettivi e piani d’azione nazionali? Come colmare il deficit di finanziamento annuale di 700 miliardi di dollari per affrontare la perdita di biodiversità (gli investimenti globali annuali per la biodiversità sono 150 miliardi di dollari!), anche con contributi più consistenti da parte delle imprese? Come richiedere ai governi di tenere conto della biodiversità nella progettazione delle politiche? Poiché è la prima volta che in un accordo globale sulla biodiversità si ceca diincludere il ruolo delle imprese come parte della soluzione, ne segue la domanda: come richiedere alle imprese di iniziare a segnalare i rischi e le dipendenze legate alla biodiversità? Poiché non sono disponibili unità di misura specifiche (ad esempio, la riduzione delle emissioni), come misurare i target e i progressi raggiunti? Come risolvere il conflitto tra riduzione degli impatti dannosi sulla natura ed interessi di governi e imprese?
L’insieme di questi aspetti rende impegnativi i negoziati: secondo un’analisi di BloombergNEF, c’è solo il 50% di possibilità che Montreal riesca a raggiungere l’equivalente sulla biodiversità dell’Accordo di Parigi, ma le possibilità di raggiungere un accordo sull’obiettivo “30 by 30” sono del 70%, mentre l’obbligo di rendicontazione e l’obiettivo generale di gestire la natura in modo sostenibile sono del 60%.
Adolfo Santoro